I #navigli e la narrazione della pandemia

Se dovessimo scegliere la ‘parola della settimana’ dell’emergenza coronavirus, penso che sarebbe con ogni probabilità Navigli. Tanto per fare un esempio, su Twitter l’hashtag #navigli è passato dalle zero occorrenze di mercoledì 6 maggio alle 2.649 di venerdì 8. Si è trattato quindi dell’esplosione rapida (ed effimera) di un ‘trend topic’, che, proprio per questo, merita di essere osservata. La velocità e l’ampiezza della trasmissione dei messaggi via Web permettono, infatti, di osservare meccanismi che, con i mezzi di comunicazione più tradizionali, mettevano magari anni a realizzarsi e a fare sentire i propri effetti. E permettono di osservarli nel loro intero ciclo vitale: l’argomento ‘Navigli’ sta infatti già uscendo dai ‘trend topic’ del Web, un po’ meno rapidamente di quanto ci sia entrato, ma comunque abbastanza inesorabilmente (domenica 10 maggio le occorrenze dell’hashtag su Twitter erano già solo 38). Osservare l’emergere, la diffusione e il declino dell’argomento ‘Navigli’, e dei suoi correlati linguistici, ci permette, in particolare di vedere come agiscono i meccanismi di costruzione di una narrativa attorno alla pandemia e della sua trasmissione collettiva. Come nelle altre analisi che ho proposto (e in questa è ancora più difficile) cercherò di astenermi da qualsiasi giudizio sui fatti e sui comportamenti in sé, per osservare piuttosto come, attraverso la lingua, i fatti siano stati ‘confezionati’ in quanto oggetto di comunicazione e in seguito trasmessi.

La narrazione della politica

Per ritornare, appunto, ai fatti, ricordiamo brevemente cosa ha determinato l’esplosione del topic ‘Navigli’. Il 7 maggio Repubblica pubblica sul suo sito Web un video girato la sera stessa a Milano accompagnato dall’eloquente titolo Coronavirus, Milano: folla ai Navigli all’ora dell’aperitivo e poche mascherine. Nel video si vedono in effetti diverse persone, con e senza maschera, che camminano o stanno sedute sul bordo dei Navigli. L’indomani il sindaco di Milano Sala pubblica a sua volta un video in cui minaccia di chiudere le strade del quartiere e le rivendite da asporto, se la situazione non migliorerà. Il tono del video è piuttosto veemente, e, vista l’eco che ha ricevuto, si può dire che, dal punto di vista comunicativo, si sia trattato di una scelta vincente. La frase “c’è da incazzarsi”, in particolare, assai poco istituzionale, e pronunciata all’inizio del filmato, in modo da fissarne subito la ‘cornice’ e la chiave interpretativa, ha probabilmente contribuito non poco alla sua viralità. Un altro aspetto che in diversi hanno fatto notare è il tono alquanto paternalistico del messaggio (“…è anche un po’, per me, deprimente dover rispiegare qual è la situazione”). Se su questo aspetto il sindaco ha ricevuto qualche critica, è però probabile che i veri destinatari del messaggio lo abbiano apprezzato; anche in questo caso, quindi, si può dire che il messaggio sia da considerarsi comunicativamente piuttosto efficace. Proprio quest’ultimo punto mi sembra meriti di essere approfondito. Ad un certo punto (verso il minuto 2:00), infatti, il sindaco-padre comincia a parlare alla seconda persona plurale (“lo spiegate voi, ai baristi, perché il sindaco non gli permette di vendere”, “ve lo ripeto: non è un guardie e ladri”), rivolgendosi, all’apparenza, ai ‘bighelloni’ dei Navigli, anche se è facile intuire che gli interlocutori che ha in testa siano altri. L’intero video è infatti costruito intorno alla contrapposizione tra due gruppi, all’apparenza omogenei al loro interno e senza intersezioni. Da una parte, ci sono quelli che “vanno a lavorare” (parola ripetuta, e sillabata, almeno tre volte), le “famiglie che fan fatica ad arrivare a fine mese” (li chiamerò per facilità i ‘Lavoratori’), e dall’altra i festaioli irresponsabili (i ‘Passeggiatori’) la cui attività viene descritta con un’accurata scelta di termini (“un vezzo”, “una voglia”, “un gioco”). È abbastanza ovvio che, mentre formalmente si rivolge ai Passeggiatori, Sala parli in realtà soprattutto per farsi ascoltare dai Lavoratori e captare la loro benevolenza. Una delle chiavi di lettura che ci permettono di affermarlo, mi sembra, sta nel disequilibro numerico che Sala individua tra i tanti Lavoratori onesti e tranquilli e i pochi Passeggiatori irresponsabili (“quattro scalmanati”), arrivando persino a dare delle cifre precise (“senza testa c’è l’1% dei milanesi”). Che siano cifre di fantasia è palese per qualsiasi ascoltatore, ma è una finzione alla quale non si hanno problemi ad aderire, se si condivide la narrazione proposta dal sindaco. Non si corrono troppi rischi, peraltro, a pensare che tutta la narrazione corrisponda solo parzialmente alla realtà: è evidente che ci sono anche milanesi che lavorano ma non hanno nessuna difficoltà ad arrivare a fine mese, ed è plausibile che non tutte le persone che erano sui Navigli siano giovani annoiati e scervellati. Ma è ovvio che una narrazione che si perde nei distinguo e nelle sfumature è assai meno efficace di un messaggio di due minuti che fissa poche categorie chiare (soprattutto se queste categorie sono già in parte precostituite nella testa di chi ascolta). Insomma, quello che voglio mettere in evidenza, è, anche partendo da intenzioni lodevoli (in questo caso, incitare i milanesi a fa’ no i pirla), è impossibile non creare una narrazione che, in quanto tale, è necessariamente un filtro della realtà.

La narrazione dei media

Lo stesso vale, ovviamente, per la narrazione giornalistica che, per forza di cose, è più ricca e articolata. In questo caso, mi riferisco a due articoli comparsi sulla Repubblica di sabato 9 maggio (visibili nell’immagine qui sopra). Benché le finalità siano più sfumate di quelle di Sala (far parlare i presunti Passeggiatori in un caso, mettere in evidenza anche le carenze della politica nell’altro), è facile osservare che il frame (la categoria concettuale di riferimento) principale è esattamente lo stesso. Prima di osservare i contenuti, però, è interessante soffermarsi un attimo sulla cornice. La foto che correda gli articoli, e che occupa circa un quarto dello spazio disponibile, non è neutra: molte delle foto pubblicate da Repubblica o che girano online sono state scattate con teleobiettivi potenti che schiacciano le persone facendole apparire molto più vicine di quanto non siano (due debunking seri sull’argomento sono stati pubblicati qui e qui). Anche se è banale, vale forse la pena ricordare che anche una foto è un prodotto costruito per la comunicazione, e che quindi non è mai una rappresentazione esatta della realtà, ma svolge esattamente la stessa funzione di filtro di cui parlavo qui sopra. Siccome, poi, la natura elefantiaca del Web ha anche lati positivi, oggi è più difficile far passare immagini di questo tipo senza incappare in qualcuno che ha l’occhio un po’ più accorto e lo fa notare. Infatti, come vedremo più avanti, la discussione attorno alla maniera in cui le foto sono state scattate è diventata a sua volta una ramificazione del topic ‘Navigli’ più generale.

Per tornare ai contenuti, negli articoli in questione la contrapposizione tra i Lavoratori e i Passeggiatori è piuttosto suggerita che presentata esplicitamente, come è invece nel filmato del sindaco. Dei Lavoratori, infatti, non si parla praticamente; sono presenti, per così dire, in negativo, in controluce. Dei Passeggiatori, invece, si parla eccome. Anche se la lista è un po’ lunga, mi sembra interessante estrarre e mettere uno accanto all’altro i termini che, nei due articoli, si riferiscono a questa categoria:

aperitivisti
bambini
compagnie in astinenza di risate
famiglie
finti pescatori
folla sui Navigli
innamorati
manager travestiti da ciclisti
popolo degli aperitivi
protagonisti della movida
questa Milano giovane
ragazzi
stormi di teenager

A parte qualche termine abbastanza neutro (bambini, famiglie…), direi che questa lista fa emergere tre caratteristiche principali: i Passeggiatori a) sono giovani (Milano giovane, ragazzi, teenager), b) fanno parte di una massa indistinta (compagnie, folla, popolo, stormi), c) si dedicano ad attività futili (aperitivisti, risate, movida, forse anche innamorati), quando non problematiche (in astinenza) o addirittura fraudolente (finti, travestiti). Mi sembra chiaro che dietro al contenuto degli articoli, piuttosto benevolo o perlomeno comprensivo nei confronti dei Passeggiatori, lo schema di riferimento coincida perfettamente con quello proposto da Sala nel suo video. Conferendo, tuttavia, precisione al “vezzo” e al “gioco” di cui parlava il sindaco; basta vedere la frequenza con cui ricorrono termini o espressioni che si riferiscono al campo semantico (al frame) ‘aperitivo’: festa mobile, ghiaccio che tintinna, gin tonic, happy hours, l’odore del lime, movida improvvisata, spritz, struscio. Si tratta di uno dei tanti effetti del mondo carnevalizzato che il coronavirus ci sta obbligando a vivere: un rovesciamento anche un po’ ironico di una delle attività che più simboleggiano Milano, e che, agli inizi, era stata addirittura promossa ad antidoto alla pandemia, tra l’altro dallo stesso Sala (e va tutto a suo onore l’aver riconosciuto esplicitamente di aver preso un abbaglio).

Riassumendo: tra giovedì 7 e sabato 9 maggio personaggi influenti (principalmente il sindaco di Milano, ma anche qualche vip) e la stampa (ho considerato solo Repubblica, ma su altri giornali si possono trovare prese di posizione assai meno sfumate, come questa o questa) contribuiscono a montare una narrazione che oppone quelli che ho chiamato i Lavoratori e i Passeggiatori, e che possiamo riassumere, estendendola un po’, così: entrambi i gruppi sono interessati ad una fine rapida della quarantena, ma i primi sono mossi da motivazioni ‘nobili’ (tornare a produrre, sostentare le proprie famiglie), e capiscono i sacrifici che il lockdown ha comportato (può essere che siano stati loro stessi toccati direttamente dalla pandemia), i secondi sono mossi da motivi futili (cazzeggiare con gli amici), magari gli stessi che li hanno portati a fare qualche piccola trasgressione alla quarantena (ad esempio improvvisandosi runner). Questa è semplicemente la descrizione di una narrazione, ossia un filtro comunicativo applicato ad una realtà complessa: se c’è bisogno di precisarlo, non corrisponde interamente alla mia visione, anzi per molti aspetti è fastidiosamente caricaturale, ma, come tutte le narrazioni, contiene sicuramente anche elementi di verità.

La narrazione di Twitter

Parallelamente, come è inevitabile in questi casi, si è sviluppata una narrazione (o meglio un insieme di narrazioni) elaborata, per così dire, ‘dal basso’, sui social network. Anche solo per la sua estensione quantitativa si tratta ovviamente di una narrazione molto più estesa e ramificata (il numero di messaggi che si possono scambiare in un giorno sul Web è infinitamente maggiore della taglia di tutti i quotidiani e dei messaggi trasmessi dai personaggi pubblici). Per avere un’idea delle sue caratteristiche, ho fatto una rapida indagine dei messaggi su Twitter contenenti l’hashtag #navigli nei primi dieci giorni di maggio. Come ho detto all’inizio, il grosso dei tweet in questione si situa tra il 7 (69 tweet) e il 9 maggio (177), con un picco venerdì 8 (2.649). Dopo averli scorsi tutti, direi che i tweet in questione si collocano nelle cinque categorie seguenti (in ordine di importanza):

1) recriminazione (e spesso insulti) nei confronti dei Passeggiatori;
2) ‘benaltristi’: i Passeggiatori hanno sbagliato, ma i veri problemi provengono dalla gestione politica della crisi…;
3) ‘altrovisti’: ai Navigli c’è stato quello che c’è stato, d’accordo, ma anche [a Ostia, sul lungomare di Napoli, a Mondello…];
4) nord contro sud: i milanesi ce l’hanno tanto con i meridionali, ma anche loro…;
5) comprensione, se non incitazione, nei confronti dei Passeggiatori.

A questi cinque, si aggiungono e si intersecano alcuni sotto-topic, ad esempio tweet che discutono della maniera in cui le immagini fotografiche della ‘movida’ dei Navigli sono state scattate e pubblicate.

Fare un computo esatto dei tweet che appartengono ad ogni categoria sarebbe un lavoro lungo e complicato. Quello che ho fatto è dunque cercare degli indizi linguistici che possono darci indicazioni sulle tendenze che questi tweet mostrano. Come primo parametro, ho considerato gli hashtag con i quali co-occorre #navigli nei tweet considerati. Se un hashtag può comparire anche come parola in un testo, ad esempio in questo tweet, nella stragrande maggioranza dei casi, fa parte del ‘testo’ di un tweet in senso globale, ma non del testo nel senso puramente linguistico, e serve piuttosto a creare una ‘cornice’ di riferimento in relazione al messaggio trasmesso. Se guardiamo, ad esempio, i cinque hashtag che co-occorrono di più con #navigli nel corpus considerato, questa funzione di cornice è piuttosto chiara: due di loro (#milano e #8maggio) corrispondono a cornici spazio-temporali abbastanza neutre, tre delimitano un contesto ampio (#covid19, #coronavirus) o più preciso (#fase2), e solo uno fa riferimento a un elemento specifico, in questo caso un protagonista, dell’argomento trattato (#sala). Aggiungo che inserire un hashtag in un testo è un’operazione che implica uno sforzo cosciente, assai di più della scelta di una parola da utilizzare. Possiamo quindi pensare che osservare gli hashtag ci permetta di avere un’idea del modo in cui gli internauti hanno inteso ‘tematizzare’ in maniera cosciente i loro tweet. Per avere un’idea più dettagliata, ho conteggiato tutti gli hashtag che compaiono in un tweet insieme a #navigli almeno cinque volte (sono 105 in totale) e li ho classificati secondo alcune categorie tematiche. I risultati sono nel grafico qui sotto.

Come si vede, più del 60% degli hashtag servono a collocare i tweet nel loro contesto più ampio (o a confermare questa collocazione). Nella categoria “Pandemia” ho messo tutti gli hashtag che si riferiscono alla malattia, ma anche alla gestione dell’emergenza (#lockdown, #mascherina); la categoria “Milano” comprende tutti gli hashtag che collocano la questione geograficamente (solo #milano co-occorre con #navigli 580 volte). Il restante 40% sono hashtag che, in effetti, introducono elementi più specifici: persone legate alla vicenda, o al contesto più generale (#sala, #fontana), luoghi che vengono comparati ai Navigli (la categoria “Altrove”, #mondello, #napoli), qualche insulto e alcune parole che appartengono al campo semantico dell’aperitivo. In un secondo momento, ho guardato la frequenza delle parole in generale nel corpus totale di tweet che ho raccolto (2.903 tweet / 84.364 parole in tutto). In questo caso, già la lista delle parole più frequenti è interessante. Indico qui sotto le prime dieci (escludendo tutte le parole funzionali, preposizioni, articoli, verbi ausiliari, etc.):

Milano (340)
gente (322)
milanesi (198)
aperitivo (163)
casa (158)
Navigli (157)
persone (157)
Italia (143)
Lombardia (132)
cazzo (123)

Possiamo osservare che in questa lista, oltre al quadro spaziale (Milano, Lombardia…), compaiono già l’argomento ‘aperitivo’, l’argomento ‘assembramento’ (gente, persone), e un indizio del fatto che lo scopo principale per twittare sulla vicenda è prendersela con i Passeggiatori (cazzo). Ancora più interessante, tuttavia, è vedere qual è lo scarto tra la frequenza di parole come queste e il loro uso generale nella lingua italiana. Ovviamente, poiché la lingua è molteplice, non è una cosa facile da realizzare. Una delle tecniche per farlo è partire da un grande corpus, considerando che rappresenti una buona approssimazione della lingua generale. In questo caso, sono partito dal corpus Coris, un corpus di italiano scritto di circa 120 milioni di parole. In corpora come questi, che comprendono testi di tutti i tipi e sugli argomenti più diversi, le parole più frequenti (sempre ad esclusione di quelle funzionali) sono solitamente parole dal significato molto generale. Nel caso del Coris sono, ad esempio, anni, parte, tempo, vita, lavoro, etc. Più ancora che la frequenza assoluta, è perciò interessante calcolare la differenza (proporzionale) di frequenza tra il mio corpus di tweet e la lingua in generale, rappresentata dal Coris. Senza entrare troppo nei dettagli, per ogni parola ho calcolato il rapporto tra la probabilità di apparire nel mio corpus e quella di apparire nel Coris. In questo caso, le parole più avvantaggiate sono parole che nel Coris sono particolarmente infrequenti, come spritz, droni, assembrarsi, teleobiettivi; ma tra quelle che compaiono nei ranghi alti ci sono anche parole che hanno avuto un grande impulso con la pandemia (mascherine, distanziamento, tamponi) e diverse espressioni chiaramente rivolte ai Passeggiatori (menefreghisti, vergognatevi, irresponsabili, irrispettosi, deficienti…). Anche in questo caso, ho classificato le parole che hanno il differenziale di frequenza tra il mio corpus e il Coris (126 in tutto) in categorie. Il risultato è nel diagramma qui sotto.

Se le parole legate alla pandemia costituiscono ancora circa un quarto del totale, in questo caso (che, lo ricordo, dovrebbe rappresentare maggiormente l’uso spontaneo da parte degli scriventi) prevalgono largamente le espressioni di insulto. In quest’ultima categoria ho incluso, in senso largo, tutte le parole che esprimono violenza verbale, come incazzo, lanciafiamme, calci (quest’ultima compare otto volte nel corpus, sette nell’espressione calci in/nel culo e una nell’espressione calci nei denti). Sono frequenti anche le parole legate ai comportamenti (assembramento, ammassati, affollati…) e quelle relative all’argomento ‘aperitivo’.

Si tratta, ovviamente, di una prima osservazione dei dati. Che sembra tuttavia suggerire una convergenza tra la narrazione proposta da personaggi influenti (in particolare dal sindaco Sala), dai media e quella emersa spontaneamente sui social. Come abbiamo già visto per gli articoli de la Repubblica, anche in questo caso i reprobi (i Passeggiatori) sono identificati (e apostrofati) esplicitamente; l’altra categoria (i Lavoratori), invece, è presente ma solo come fondale implicito. Tanto è vero che la maggior parte delle parole che potrebbero servire a designarla (ad esempio lavorare, lavoratori, ma anche famiglia o medici) presentano un differenziale di frequenza tra il mio corpus e il Coris molto vicino, ed in alcuni casi inferiore, a 1, il che significa che sono semplicemente usate con la stessa frequenza in cui sono usate normalmente in italiano.

[Mentre scrivevo questo post ho visto che l’hashtag #navigli ha avuto su Twitter un nuovo picco ieri sera, principalmente dovuto al fatto che molti hanno paragonato l’assembramento di cameramen e fotografi sotto a casa di Silvia Romano alla folla sui Navigli, spesso nel senso dell’atteggiamento benaltrista di cui ho parlato sopra. Si tratta però di una nuova narrazione, una specie di spin-off di quella principale descritta qui sopra, che non modifica le osservazioni che ho fatto.]

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